PENALE
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Responsabilità penale e misure interdittive nei confronti di sindaci, amministratori e commercialisti.

4 AGOSTO 2022 BY Avvocata Rossana Lugli

Con la recente sentenza n. 19540, del 18.05.2022, la Corte di Cassazione ha escluso la responsabilità penale dei Sindaci supplenti per la bancarotta di alcune società ed ha annullato le gravi misure cautelari interdittive applicate alle persone fisiche. Nella vicenda sottoposta al vaglio della Cassazione, il Tribunale del Riesame di Napoli aveva disposto nei confronti di alcuni indagati (Sindaci, Amministratori o Consulenti di note società) le misure cautelari interdittive del divieto temporaneo di esercitare la professione di commercialista e del divieto temporaneo di esercitare l’attività imprenditoriale, per la durata di 12 mesi. Le misure cautelari conseguivano alla contestazione di una serie di reati in materia fallimentare, in relazione al concordato preventivo e all’omologazione dell’accordo di ristrutturazione del debito di alcune Società.


Partendo dall’analisi delle norme che disciplinano le funzioni ed i poteri del Collegio Sindacale, la Corte di Cassazione ha escluso anzitutto la responsabilità penale dei Sindaci supplenti per i fatti contestati.
La Corte ricorda che, ai sensi dell’art. 2407 del codice civile, i Sindaci devono adempiere i loro doveri con professionalità e diligenza e sono responsabili solidalmente, con gli amministratori, per i fatti o le omissioni di questi, quando il danno non si sarebbe prodotto se essi avessero vigilato in conformità degli obblighi imposti dalla loro carica.
Dovendo, infatti, svolgere una funzione di controllo, ed essendo dotati di poteri di intervento, la giurisprudenza penale - da sempre - riconosce i Sindaci come responsabili dei reati commessi da altri (tendenzialmente gli Amministratori), per non aver fatto tutto quanto era in loro potere per prevenire ed evitare la commissione di reati.
Tuttavia, precisa la Corte, citando anche un proprio precedente, “la responsabilità penale del sindaco non può affermarsi tout court in ragione del mancato esercizio dei doveri di controllo, ma soltanto nella misura in cui l’omesso controllo abbia avuto effettiva incidenza di contributo causale nella commissione del reato da parte degli amministratori” (Cass. Pen., Sez. V, n. 40815 del 27.04.2005).
Ebbene, è proprio a seguito dell’analisi sopra esposta che la Corte di Cassazione ha escluso la responsabilità dei Sindaci supplenti, affermando che “l’equivalenza giuridica, sul piano della 2 causalità tra il non impedire un evento che si ha l’obbligo di impedire ed il cagionarlo, non può che riguardare, proprio per la pregnanza della sua esplicazione, soltanto i membri effettivi e non anche i supplenti, e dunque solo chi faccia parte pieno iure dell’organo collegiale” (in termini anche Cass. Pen., Sez. V, n. 40815 del 27.04.2005).
Infatti, i poteri di vigilanza ed i rispettivi poteri ispettivi sono riconosciuti ed imposti, prosegue la Corte, solo ai membri effettivi del Collegio Sindacale, che partecipano alla vita della Società e non a quelli supplenti che intervengono, invece, soltanto nei casi in cui subentrino ai primi, cioè “in caso di morte, rinunzia o decadenza dei Sindaci titolari”.
Di conseguenza, la Cassazione ha annullato, senza rinvio, l’ordinanza cautelare del Tribunale del Riesame, che aveva accomunato “la posizione di sindaco supplente a quella dei Sindaci effettivi, addebitando anche al primo in maniera astratta, un omesso controllo”, con conseguente caducazione della misura interdittiva della sospensione dall’albo dei commercialisti applicata per un anno anche ai Sindaci supplenti.
Ma vi è di più.

Con la pronuncia in commento, la Corte si è espressa anche sulle esigenze cautelari poste dal Tribunale del Riesame alla base delle misure interdittive applicate.

Le misure della sospensione dall’albo dei commercialisti e del divieto temporaneo di esercitare l’attività imprenditoriale erano state disposte esclusivamente in quanto gli indagati ricoprivano cariche societarie in altre società al momento di applicazione della misura cautelare e pertanto, secondo il Tribunale, doveva ritenersi sussistente il concreto ed attuale pericolo di recidiva. La Corte ha annullato anche questa parte dell’ordinanza affermando che il pericolo di reiterazione del reato non può essere integrato solo dalla mera titolarità di cariche sociali da parte degli indagati posto che ciò è “del tutto insufficiente a fondare la persistenza del periculum in capo ad amministratori e Sindaci, se non accompagnato dalla indicazione della specifica possibilità, per ciascuno di loro, di reiterare condotte illecite della stessa specie di quello per cui si procede”.

In conclusione, ad avviso di chi scrive devono essere viste con estremo favore le sentenze come quella in commento che sembrano proprio scongiurare e disincentivare interpretazioni estensive e dannose per le imprese.

Avvocata Rossana Lugli



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