Il reato di manipolazione del mercato nel caso in cui l’informazione sia solo parzialmente falsa. L’ostacolo alle funzioni di vigilanza di Consob e il diritto al silenzio dell’imputato.
6 FEBBRAIO 2023 BY Avvocata Rossana Lugli
PUBBLICATO SU GIURISPRUDENZA PENALE WEB, 2023
CASS. PEN., SEZ. V, SENT. 1° FEBBRAIO 2022 (UD. 7 SETTEMBRE 2021), N. 3555
PRESIDENTE SABEONE, RELATORE TUDINO
Sommario. Premessa. – 1. Il reato di manipolazione del mercato. – 1.1.
L’accertamento del reato di cui all’art. 185 TUF. – 1.2. La natura di reato di
pericolo ed il principio di offensività. – 1.3. L’accertamento del carattere price
sensitive nel caso in cui la falsità della notizia sia solo parziale. – 1.4. La
soluzione adottata dalla Corte di Cassazione nel caso oggetto della sentenza
in commento. – 1.5. Conclusioni sul punto. – 2. Il reato di Ostacolo alle
funzioni di vigilanza. – 2.1. La natura del reato di cui all’art. 2638 c.c. – 2.2. Il
diritto al silenzio. – 2.3. Conclusioni.
Premessa.
La pronuncia in commento offre alcuni spunti interessanti in materia di
manipolazione del mercato e di ostacolo alle funzioni di vigilanza di Consob.
La vicenda aveva ad oggetto alcuni capi d’imputazione contestati a due
diversi imputati nelle qualità di concorrente materiale e morale, in relazione
a due differenti vicende.
Anzitutto, i due, uno amministratore di diritto e l’altro amministratore di fatto,
avrebbero comunicato al mercato che la finalità dell’aumento di capitale di
una società quotata sul mercato regolamentato sarebbe stata il risanamento
e il rilancio della società, quando, secondo la ricostruzione accusatoria
accolta in sentenza, il vero obbiettivo era di utilizzare le somme così ottenute
per l’acquisto delle quote di un fondo di investimento immobiliare, da due
società riconducibili ad uno dei due imputati.
In particolare, secondo i Giudici di merito, l’aver omesso di indicare la reale
finalità dell’aumento di capitale nel prospetto informativo comunicato al
mercato avrebbe determinato la falsità del prospetto stesso, integrando il
reato di cui all’art. 173 bis TUF (dichiarato poi prescritto in appello).
La diffusione di tale parziale notizia al mercato avrebbe integrato, da un lato,
il reato di manipolazione del mercato ex art. 185 TUF, e dall’altro lato,
unitamente alle audizioni rese a CONSOB da parte dei due imputati, il delitto
di ostacolo alle funzioni di vigilanza di cui all’art. 2638 c.c., avendo
determinato un rallentamento ai controlli dell’autorità di vigilanza sull’intera
operazione.
Nel medesimo procedimento, il reato di cui all’art. 185 TUF veniva contestato
in altri due capi d’imputazione, ad uno solo degli imputati, anche riguardo
ad una seconda vicenda relativa ad alcuni aumenti di capitale di una diversa
società quotata rispetto ai quali sarebbe stato celato al mercato che
l’operazione avrebbe riguardato parti correlate.
In particolare, l’imputato, azionista di maggioranza della società quotata
nonché amministratore della stessa, non avrebbe comunicato al mercato che
i due aumenti di capitale effettuati erano riservati a due società a lui
riconducibili.
Tale informazione omessa, secondo i giudici, era una notizia falsa idonea ad
alterare sensibilmente il prezzo delle azioni della società, la cui diffusione
aveva quindi integrato il reato di manipolazione del mercato.
La sentenza in commento affronta diverse questioni in ordine ai reati
contestati, soffermandosi in particolare: i) sulla natura del reato di
manipolazione del mercato e sulle modalità di accertamento dello stesso; (ii)
sulla eventualità che il reato di ostacolo alle funzioni di vigilanza possa essere
scriminato dal diritto al silenzio (riconosciuto con una recente sentenza dalla
Corte Costituzionale rispetto all’analogo illecito amministrativo) nonché (iii)
sul tema del doppio binario e del principio del Ne Bis In Idem.
Nel presente commento ci si soffermerà solo sulle prime due questioni.
1. Il reato di manipolazione del mercato.
1.1. L’accertamento del reato di cui all’art. 185 TUF.
La Sezione V della Corte di Cassazione, nella sentenza in commento,
ricostruisce anzitutto la natura del reato di manipolazione del mercato,
individuando i criteri da seguire per accertarne la sussistenza.
Richiamando un precedente specifico ribadisce che il delitto di
manipolazione del mercato, previsto dall'art. 185 T.U.F., è un «reato di pericolo
concreto e di mera condotta», la cui configurazione «deve essere accertata
sulla base del criterio della prognosi postuma».
Ossia, un giudizio in concreto ed ex ante che valorizzi tutti i dati fattuali
esistenti al momento della condotta in funzione della verifica della
connotazione decettiva del fatto comunicativo e della sua idoneità a
produrre effetti distorsivi sul patrimonio conoscitivo dell'investitore (cfr. Cass.
Pen., Sez. 5, n. 28932 del 04.05.2011, Tanzi).
E ancora che «la natura di pericolo concreto del reato esige, ai fini del suo
perfezionamento, la manifestazione fenomenica dell'idoneità dell'azione a
mettere in pericolo l'interesse protetto dalla norma, costituito dal corretto ed
efficiente andamento del mercato al fine di garantire che il prezzo del titolo
nelle relative transazioni rifletta il suo valore reale e non venga influenzato da
atti o fatti artificiosi o fraudolenti» (Cfr. Cass. Pen., Sez. 1, n. 45347 del
06.05.2015, Bonsignore, Rv. 265397).
Perciò occorre verificare se «gli effetti decettivi [ingannatori] dei fatti
comunicativi, prevedibili in concreto ed ex ante quali conseguenze della
condotta dell’agente, siano stati potenzialmente idonei a provocare una
sensibile alterazione del prezzo di mercato del titolo rispetto a quello
determinato in un corretto processo di formazione dello stesso» (cfr. Cass. Pen.,
Sez. 5, n. 53437 del 19.10.2018, Rv. 275134).
Il fatto comunicato assume dunque i connotati di tipicità ex art. 185 TUF
quando «può concretamente influire sulla formazione della volontà negoziale
dell'investitore e meglio persuaderlo alla convenienza nell’impiego del denaro
con l'investimento nel titolo (ovvero ad indurlo alla dismissione di
quell’investimento» (Cfr. Cass. Pen., Sez. 5, n. 28932/2011, cit.).
Nella sentenza in commento viene inoltre precisato che la natura di reato di
pericolo concreto e di mera condotta comporta che la manipolazione di cui
all’art. 185 TUF «si consuma [semplicemente] nel momento stesso in cui la
notizia, foriera di scompenso valutativo del titolo, viene comunicata o diffusa
e, cioè, esce dalla sfera del soggetto attivo» (cfr. Cass. Pen., Sez. 5, n. 28932 del
2011, cit.; conf. Sez. 5, n. 40393 del 20.06.2012, Gabetti; Sez. 5, n. 25450 del
03.04.2014, Ligresti, Rv. 260751).
Inoltre, viene ribadito, a più riprese, che è irrilevante il verificarsi dell’evento
(cfr. Cass. Pen., Sez. 5, n. 28932 del 2011, cit.; conf. ex plurimis, cfr. Cass. Pen.,
Sez. 5, n. 54300 del 14.09.2017, Banchero, Rv. 272083 e Cass. Pen., Sez. 5, n.
45829 del 16.07.2018, Franconi).
Il reato è integrato infatti «anche senza che la variazione del prezzo si sia
concretamente realizzata, in quanto la norma penale tutela anticipatamente
l’interesse dell'ordinamento alla corretta formazione del prezzo dello
strumento finanziario», condizione che rende necessaria un'adeguata
indagine «sulla idoneità ex ante della condotta manipolativa a produrre una
variazione penalmente rilevante (indipendentemente da quella riscontrata ex
post)» (cfr. Cass. Pen., Sez. 5, n. 4619 del 27.09.2013, 2014, Compton).
In buona sostanza la Corte, nella sentenza in commento, riprendendo diversi
precedenti, ribadisce che, trattandosi di un reato di pericolo, per la
configurazione del reato non è necessaria la verificazione dell’evento e che
l’accertamento deve essere svolto, perciò, mediante un’indagine che valuti le
condizioni esistenti al momento della diffusione della notizia.
Se queste conclusioni appaiono corrette sul piano giuridico, lasciano
profondi dubbi in ordine alla ragionevolezza e opportunità della soluzione
adottata, tenuto anche conto che la norma incriminatrice in commento è
assai afflittiva (con pena fino a 12 anni di reclusione).
1.2. La natura di reato di pericolo ed il principio di offensività.
Occorre aggiungere che le conclusioni sopra riportate sembrano trascurare
che la concreta punibilità di un fatto discende sempre e comunque dalla sua
concreta offensività - anche in termini di messa in pericolo - del bene
giuridico tutelato dalla norma.
Tale principio viene alla mente in quanto in altro punto della sentenza in
commento, rispondendo alle doglianze difensive sul reato di cui all’art. 2638
c.c., la stessa Corte precisa che il «principio costituzionale di offensività opera
non solo sul piano della «previsione normativa», ma anche su quello della
«dell'applicazione giurisprudenziale (offensività in concreto), quale criterio
interpretativo-applicativo affidato al giudice, tenuto ad accertare che il fatto di
reato abbia effettivamente leso o messo in pericolo il bene o l'interesse
tutelato» (Sez. U, n. 28605 del 24.04.2008, Di Salvia, Rv. 239921; conf., in tema
di false dichiarazioni sull'identità o su qualità personali proprie o altrui, Sez.
5, n. 16725 del 30.03.2016, De Donato, Rv. 266707).
E ancora, secondo le Sezioni Unite della Suprema Corte, «l'interprete delle
norme penali ha l'obbligo di adattarle alla Costituzione in via ermeneutica,
rendendole applicabili solo ai fatti concretamente offensivi, offensivi in misura
apprezzabile»: pertanto, «i singoli tipi di reato dovranno essere ricostruiti in
conformità al principio di offensività, sicché tra i molteplici significati
eventualmente compatibili con la lettera della legge si dovrà operare una
scelta con l'aiuto del criterio del bene giuridico, considerando fuori del tipo di
fatto incriminato i comportamenti non offensivi dell'interesse protetto» (Cfr.
Cass. Pen., SS.UU., n. 40354 del 18.07.2013, Sciuscio; conf. Cass. Pen., Sez. 5,
n. 1917 del 18.10.2017, Bux).
A fronte di tali considerazioni dovrebbe quindi concludersi secondo logica e
ragionevolezza che nel caso in cui un’informazione comunicata o omessa al
mercato non abbia prodotto ex post una sensibile alterazione del prezzo del
mercato, il reato de quo deve essere escluso, essendoci la prova effettiva e
incontrovertibile che l’informazione non era idonea in concreto a produrre
un’alterazione (e quindi il fatto non era offensivo)
1
Diversamente l’alterazione dei prezzi si sarebbe dovuta verificare, salva
ovviamente l’ipotesi in cui l’alterazione fosse stata impedita da altre cause
(ad esempio dalla rettifica tempestiva del comunicato errato).
Sennonché, come anticipato, alcune pronunce della Cassazione - richiamate
nella sentenza in commento - escludono la rilevanza di qualsiasi
accertamento negativo ex post, come se l’idoneità della comunicazione
decettiva dovesse essere valutata solo ex ante in modo del tutto astratto, a
prescindere dagli effetti in concreto realizzatisi.
Come a dire: è sufficiente per la configurazione del reato che la notizia (falsa
anche solo parzialmente) diffusa presenti le caratteristiche previste dalla
normativa
2
- ovvero sia precisa e non ancora comunicata al mercato
3 nonchè idonea ex ante (e quindi solo potenzialmente) ad incidere sulle scelte degli
investitori, che diventa inutile e superflua ogni ulteriore indagine, perfino
quella in ordine agli effetti, o a nessun effetto, che in concreto la notizia ha
avuto sul prezzo dello strumento finanziario.
1.3. L’accertamento del carattere price sensitive nel caso in cui la falsità
della notizia sia solo parziale.
La verifica della sussistenza o meno del reato di manipolazione del mercato
presenta non pochi problemi soprattutto nell’ipotesi in cui solo una parte
della notizia diffusa sia falsa ovvero sia stata omessa.
Nel valutare la sussistenza del reato di manipolazione del mercato spesso si
prescinde infatti dalla considerazione che qualsiasi informazione comunicata
al mercato ha (o comunque può avere) quale conseguenza (non solo
potenziale) quella di alterare sensibilmente il valore e il prezzo degli
strumenti finanziari cui si riferisce.
Tale effetto è infatti - tendenzialmente - una conseguenza immediata della
diffusione di qualsiasi notizia avente carattere preciso, che non è ancora
conosciuta dal mercato. Soprattutto se si tratta di notizia relativa all’aumento
di capitale di una società in crisi o in fase di risanamento.
L’accertamento della idoneità della notizia ad alterare sensibilmente il prezzo
dello strumento finanziario (c.d. price sensitive), ai fini della configurabilità
dell’art. 185 TUF, è agevole soltanto nel caso in cui l’intera notizia sia falsa e
sia l’unica comunicata al mercato (ad esempio si comunica un cambio di
gestione che in realtà non si verificherà, ovvero l’ingresso di un nuovo socio
accreditato nel mercato, che invero non esiste o ancora si comunica di
disporre di ingenti risorse finanziarie depositate presso banche estere in
realtà inesistenti).
In tali ipotesi è sufficiente, per verificare la sussistenza del reato, effettuare
un confronto tra il prezzo dello strumento finanziario prima della diffusione
della notizia e quello registrato successivamente alla diffusione.
In tali casi in cui l’alterazione del prezzo provocata dalla diffusione della
notizia rappresenta l’intero disvalore penale del fatto (senza considerare le
pronunce che affermano l’irrilevanza dell’alterazione in concreto).
Tale accertamento è invece molto complesso nell’ipotesi in cui la notizia
diffusa sia tendenzialmente vera ma in essa venga omesso (o distorto)
qualche elemento ulteriore.
Ad esempio, come nelle due vicende oggetto della sentenza in commento,
la notizia dell’aumento di capitale era l’informazione sostanziale vera e
corretta - da cui sarebbe state omesse, secondo la ricostruzione accusatoria
accolta dai Giudici, alcune precisazioni: in un caso la finalità dell’aumento di
capitale e, nell’altro, la presenza di parti correlate.
In queste ipotesi, ai fini della verifica della sussistenza del reato, occorrerebbe
- ad avviso di chi scrive - accertare quanto, sul prezzo del titolo, abbia inciso
(o avrebbe potuto incidere) non la notizia in sé, ma la falsità di una parte
dell’informazione fornita.
Anche in questi casi può essere facilmente ed immediatamente effettuato in
concreto (ovvero valutato potenzialmente ex ante) il calcolo dell’alterazione
del prezzo a seguito della diffusione della notizia vera e principale al mercato
(per cui è sufficiente ancora una volta il confronto tra il prezzo iniziale e quello
successivo alla diffusione).
Appare invece estremamente difficile, se non impossibile, calcolare (in
concreto o potenzialmente ex ante), quale sarebbe stata l’incidenza di una
comunicazione con un contenuto parzialmente diverso, ad esempio perché
contenente le precisazioni omesse nell’originaria comunicazione.
In altre parole, in tali situazioni quello che può essere calcolato pare essere,
invero, solo l’alterazione del prezzo determinata dalla comunicazione della
notizia nella sua interezza, mentre diventa molto difficile, anche in termini di
prognosi postuma, scindere da questa la parte falsa/omessa e verificare
come una comunicazione interamente corretta avrebbe influito
sull’andamento del prezzo.
E così spesso accade che il giudice penale svolga, anche in queste ipotesi,
solo una valutazione complessiva ed unitaria della notizia, comprensiva sia
della parte corretta (che già di per sé determinerebbe l’alterazione ma
sarebbe penalmente irrilevante) sia di quella falsa oppure omessa, senza
invece rilevare soltanto l’idoneità di questa seconda parte.
La tesi difensiva, basata sulle conclusioni dell’autorevole consulente tecnico
4, muoveva sostanzialmente da queste considerazioni.
1.4. La soluzione adottata dalla Corte di Cassazione nel caso oggetto
della sentenza in commento.
Nel caso di specie la Corte ha rigettato la tesi difensiva affermando che la
valutazione dei giudici di merito in ordine all’integrazione del reato di
manipolazione del mercato aveva riguardato proprio la parte falsa/omessa
della notizia diffusa.
A suo avviso, infatti, la verifica era stata condotta non solo «attraverso l'analisi
postuma dell'andamento dei titoli negoziati» ma anche «all'esito di una
corretta valutazione prognostica del diverso andamento che il medesimo titolo
avrebbe avuto ove fosse stata resa nota, ab origine, la reale finalità dell'offerta
dei titoli mobiliari».
In particolare, quest’ultimo accertamento si era basato sugli effetti registrati
sia dopo il primo comunicato al mercato in cui si dava atto dell’aumento di
capitale finalizzato al risanamento; sia dopo il secondo comunicato in cui si
informava il mercato l’acquisto delle quote del fondo (quindi la reale finalità
dell’operazione).
La Corte rilevava quindi che «in corrispondenza con la sottoscrizione
dell'aumento di capitale, vi fu un repentino incremento delle quotazioni di
Borsa», tanto che «il titolo toccò il massimo dell’anno, mentre il trend era stato,
sino ad allora, negativo ed in perdita».
Effetto che, secondo la Corte, sarebbe stato invece neutralizzato quando, il
mese successivo, la comunicazione dell'investimento nelle quote del Fondo
«avrebbe determinato una significativa flessione del titolo».
Tali conseguenze, come si legge nella sentenza in commento,
dimostrerebbero la natura price sensitive dell’omessa/distorta informazione
comunicata al mercato.
1.5. Conclusioni sul punto.
Ad avviso di chi scrive le conclusioni rassegnate non sono pienamente
condivisibili.
La verifica delineata - che invero pare solo ex post - si sarebbe sviluppata in
due fasi: una prima in cui si registrava un aumento del prezzo naturale e del
tutto connaturato alla diffusione della notizia dell’aumento di capitale di una
società in crisi; ed una seconda in cui, a distanza di un mese, si verificava una
normale stabilizzazione del titolo.
Tale analisi, svolta in due tempi differenti, non appare idonea - quanto meno
con ragionevole certezza - a rassegnare la conclusione che l’informazione
omessa era price sensitive e ancora che, se la stessa fosse stata comunicata
già al momento della diffusione della notizia dell’aumento di capitale,
avrebbe avuto effetti differenti sul titolo.
Anzi, a ben vedere, se il secondo comunicato (contenente l’informazione vera
omessa) aveva determinato una flessione del titolo, il cui prezzo era invece
in precedenza aumentato fino al suo massimo, si poteva logicamente
concludere che laddove la notizia fosse stata comunicata al mercato già
completamente corretta (quindi con il contenuto di entrambi i comunicati),
non vi sarebbe stata alcuna sensibile alterazione del prezzo.
In ogni caso, ad avviso di chi scrive, si ritiene che spesso non sia possibile
accertare con prognosi postuma (ma neppure ex post) quale sarebbe stato
l’effetto sul mercato di una sola ed unica comunicazione completa di tutte le
informazioni, anche di quelle omesse/distorte.
Così l’accertamento del reato si basa esclusivamente sulla valutazione
soggettiva, e del tutto astratta, del giudice penale sulla capacità di
un’informazione omessa (all’interno di una notizia corretta) di provocare una
sensibile alterazione del prezzo di mercato.
Sennonché data la natura gravemente afflittiva del reato in esame, che
prevede addirittura il raddoppio delle pene nel caso di strumenti negoziati
sul mercato regolamentato (per un massimo di 12 anni di reclusione),
sarebbe opportuno legare maggiormente la configurazione del reato
all’evento (e quindi alla certezza che un’alterazione vi sia stata) o
quantomeno di un danno agli investitori.
Diversamente e paradossalmente si arriva a punire con pene molto gravi - e
così di fatto accade - presunte o potenziali distorsioni del mercato che non
hanno tuttavia cagionato alcuna alterazione effettiva e senza che vi sia stato
alcun investitore danneggiato.
Si pensi che nel caso oggetto della sentenza in commento gli aumenti di
capitale che hanno riguardato la seconda vicenda erano riservati a società di
fatto correlate ad uno dei due imputati.
Pertanto, le eventuali variazioni di prezzo dei relativi strumenti finanziari
hanno inciso solo su tale unico soggetto e non su altri investitori.
Per tali ragioni sorgono forti dubbi pongono dei seri problemi in ordine al
rispetto del principio di offensività posto che il bene giuridico tutelato dalla
norma è la corretta allocazione dei prezzi degli strumenti finanziari.
Per cui, se il prezzo del titolo non è stato neppure messo in pericolo (o non
è possibile un accertamento su questo), appunto perché non è possibile
stabilire in concreto quale effetto avrebbe avuto la comunicazione di una
notizia interamente corretta, il reato non dovrebbe ritenersi configurato.
Sarebbe quindi auspicabile che il Legislatore intervenisse in un prossimo
futuro su questo reato, limitandone l’applicazione ovvero, quantomeno,
prevedendo sanzioni meno afflittive.
2. Il reato di Ostacolo alle funzioni di vigilanza.
La Corte di Cassazione con la sentenza in commento prende posizione anche
in ordine alla fattispecie di cui all’art. 2638 c.c. (ostacolo alle funzioni di
vigilanza).
Il reato di cui all'art. 2638 cod. civ. è stato contestato nel procedimento
oggetto della sentenza in commento in relazione all'omissione di
informazioni dovute a CONSOB, con riferimento alla reale finalità
dell’aumento di capitale della società.
2.1. La natura del reato di cui all’art. 2638 c.c.
La Corte si sofferma anzitutto sulla natura del reato in esame, affermando
che la norma delinea «un reato di evento e, in particolare, una fattispecie
causalmente orientata al risultato lesivo, rappresentato dall'evento di ostacolo
all'esercizio delle funzioni di vigilanza».
Inoltre, ricorda come il più recente e consolidato orientamento della
giurisprudenza di legittimità richieda, per la configurabilità del reato in
esame, «la verificazione di un effettivo e rilevante ostacolo alla funzione di
vigilanza, quale conseguenza di una condotta che può assumere qualsiasi
forma, tra cui anche la mera omessa comunicazione di informazioni dovute»
(Sez. 5, n. 42778 del 26.05.2017, Consoli, Rv. 271442; conf. Sez. 5, n. 6884 del
12.11.2015 - dep. 2016, Giacomoni Rv. 267169).
L'evento di ostacolo all'esercizio delle funzioni di vigilanza si realizza infatti,
non solo «con l'impedimento in toto di detto esercizio» ma anche «con il
frapporre al suo dispiegarsi difficoltà di considerevole spessore o con il
determinarne un significativo rallentamento; difficoltà o rallentamento che
devono dar corpo ad un effettivo e rilevante ostacolo alla funzione di
vigilanza»
5
2.2. Il diritto al silenzio.
Definita la natura del reato, la Corte si pronuncia sulla possibilità di estendere
anche all’art. 2638 c.c. le conclusioni raggiunte dalla Corte costituzionale
rispetto all’illecito amministrativo di cui all'art. 187-quinquiedecies T.U.F.
Come noto quest’ultima norma commina la sanzione pecuniaria per chi,
“fuori dei casi previsti dall'art. 2638 cod. civ., non ottempera nei termini alle
richieste della Banca d'Italia e della Consob, ovvero non cooperi con le
medesime autorità al fine dell'espletamento delle relative funzioni di vigilanza
ovvero ritardi l'esercizio delle stesse”.
Mentre, l’art. 2638 c.c. è norma penale che punisce alcuni soggetti qualificati
all’interno di società sottoposte ad autorità di vigilanza “i quali nelle
comunicazioni alle predette autorità previste in base alla legge, al fine di
ostacolare l'esercizio delle funzioni di vigilanza, espongono fatti materiali non
rispondenti al vero...ovvero, allo stesso fine, occultano con altri mezzi
fraudolenti, in tutto o in parte fatti che avrebbero dovuto comunicare” sulla
situazione economica, patrimoniale o finanziaria (art. 2638 c.c.).
Ebbene, con sentenza n. 84 del 13 aprile 2021, la Corte costituzionale ha
dichiarato costituzionalmente illegittimo
6, l'art. 187-quinquiesdecies del d.lgs.
n. 58 del 1998, nel testo originariamente introdotto dall'art. 9, comma 2, lett.
b), della legge n. 62 del 2005, «nella parte in cui si applica anche alla persona
fisica che si sia rifiutata di fornire alla CONSOB risposte che possano far
emergere la sua responsabilità per un illecito passibile di sanzioni
amministrative di carattere punitivo, ovvero per un reato».
La Consulta aveva rilevato, nel quadro di alcuni precedenti (sent. n. 68 del
2021, n. 96 del 2020, n. 187 del 2019 e n. 388 del 1999; ord. n. 117 del 2019)
«come il tenore letterale della disposizione censurata risulti incompatibile con
il diritto al silenzio della persona fisica la quale, richiesta di fornire informazioni
alla CONSOB nel quadro dell’attività di vigilanza svolta da quest'ultima e
funzionale alla scoperta di illeciti e alla individuazione dei responsabili, ovvero
- a fortiori - nell'ambito di un procedimento sanzionatorio formalmente aperto
nei suoi confronti, si sia rifiutata di rispondere a domande, formulate in sede
di audizione o per iscritto, dalle quali sarebbe potuta emergere una sua
responsabilità per un illecito amministrativo sanzionato con misure di
carattere punitivo, o addirittura una sua responsabilità di carattere penale,
rivolgendo un monito esplicito al legislatore per una più precisa declinazione
delle ulteriori modalità di tutela di tale diritto - non necessariamente
coincidenti con quelle che vigono nell'ambito del procedimento e del processo
penale - rispetto alle attività istituzionali della CONSOB e - a seguito delle
pronunce di illegittimità costituzionale consequenziale della medesima
disposizione, nella formulazione successiva a due successive novelle - della
Banca d'Italia, in modo da meglio calibrare tale tutela rispetto alle specificità
dei procedimenti che di volta in volta vengono in considerazione, nel rispetto
dei principi discendenti dalla Costituzione, dalla CEDU e dal diritto dell'Unione
europea»
7.
Di contro, nella sentenza in commento, la Corte di Cassazione esclude
tuttavia che tali conclusioni possano essere applicate anche con riferimento
al reato di cui all’art. 2638 c.c. dato «il diverso ambito in cui muovono le
disposizioni richiamate... con specifico riferimento alla fattispecie concreta ed
in considerazione del contenuto decettivo delle false prospettazioni rivolte
all’autorità di vigilanza».
Secondo la Corte, infatti, vi è una netta differenza tra le due norme: il rifiuto
di rispondere a domande formulate in sede di audizione, o per iscritto, dalle
Autorità di vigilanza (187-quinquiedecies T.U.F.) è cosa differente rispetto
all’obbligo di dichiarare il vero la cui violazione comporta il reato di ostacolo
alle funzioni di vigilanza (art. 2638 c.c.).
Nello specifico, si legge nella sentenza in commento, la peculiarità della
fattispecie esaminata dalla Consulta - rifiuto di rispondere a domande
formulate in sede di audizione o per iscritto dalle Autorità di vigilanza - non
proietta dubbi sulla legittimità costituzionale dell'art. 2638 cod. civ., che
delinea condotte alternative di omessa comunicazione di informazioni
dovute o di ricorso a mezzi fraudolenti, anche quando dalla condotta
conforme potrebbero derivare elementi di prova di altro illecito.
Ciò in quanto «il profilo di falsità, rispetto a un obbligo di dichiarare il vero,
previsto dalla legge, che connota la condotta in esame costituisce un quid
pluris rispetto al dovere di collaborazione con l’autorità su cui è invece
conformato l’illecito amministrativo censurato dalla Consulta».
Trattandosi di un falso, precisa la Corte di Cassazione, il principio del “nemo
tenetur se detegere” (secondo il quale nessuno può essere obbligato ad auto
incriminarsi) non può prevalere sul bene giuridico tutelato dalla norma
penale «non potendo la finalità probatoria dell’atto essere sacrificata
dall’interesse del singolo di sottrarsi alle conseguenze di un delitto» (cfr. Cass.
Pen., Sez. 5, n. 23672 del 19.04.2021, Pinchera, Rv. 281406)
La medesima conclusione invero era stata raggiunta dalla Corte
costituzionale anche con riferimento all’art. 5 D.Lgs. 74/2000 (reato di omessa
presentazione della dichiarazione di redditi ai fini IVA e IRES), rispetto al quale
aveva dichiarato manifestamente infondata una analoga questione di
illegittimità costituzionale sollevata, affermando che «il principio del "nemo
tenetur se detegere" opera esclusivamente nell'ambito di un procedimento
penale già avviato e deve ritenersi recessivo rispetto all'obbligo di concorrere
alle spese pubbliche previsto dall'art. 53 Cost. (Sez. 3, n. 53656 del 03.10.2018,
A., Rv. 275452)».
La Corte di Cassazione conclude quindi che il diritto al silenzio riconosciuto
dalla Corte Costituzionale nei confronti di Banca d’Italia e Consob non si
espande fino a comprendere il reato di ostacolo all’esercizio delle funzioni
delle autorità di vigilanza posto che nell'affermare l'intangibilità del diritto al
silenzio nell'ambito del generico dovere di collaborazione dell'autorità di
vigilanza, non induce a dubitare della conformità costituzionale della
pregnante connotazione lesiva che caratterizza i fatti penalmente rilevanti in
forza del secondo comma dell'art. 2638 cod. civ
2.3. Conclusioni.
Si tratta di una conclusione condivisibile, ma che incontra alcune
problematiche di applicazione in alcuni casi concreti.
Certamente le situazioni sono differenti: la sanzione amministrativa riguarda
il caso in cui è richiesta una mera collaborazione con l’Autorità di vigilanza,
in cui deve essere riconosciuto il diritto al silenzio e quindi al diritto a non
auto incriminarsi, mentre la norma penale punisce un soggetto che pone in
essere comportamenti attivi, fornendo notizie false, al fine di ostacolare le
funzioni di vigilanza.
Per cui l’eventuale estensione del principio statuito dalla Consulta a tutti i
rapporti con le autorità di vigilanza di fatto svuoterebbe di contenuto l’art.
2638 c.c. prevedendo la possibilità per gli emittenti e tutte le società
sottoposte a qualche vigilanza di non solo di non fornire le informazioni
richieste, ma anche di dare informazioni false, adducendo il proprio diritto al
silenzio, e così garantendosi l’impunità per il reato di ostacolo alle funzioni di
vigilanza.
Tuttavia, sorgono alcuni dubbi in ordine ai confini sussistenti tra le due norme
e quindi in ordine al riconoscimento del diritto al silenzio in casi concreti.
Si pensi ad esempio al caso in cui un soggetto che nell’ambito dello
svolgimento di operazioni societarie venga richiesto da Consob o Banca
d’Italia o ad altra autorità di vigilanza cui è sottoposto di fornire informazioni,
ma decida di restare in silenzio per evitare di auto incriminarsi. O ancora il
caso in cui tali soggetti decidano di non dare alle autorità di vigilanza cui
sono sottoposti le comunicazioni previste dalla legge “sulla situazione
economica, patrimoniale o finanziaria”, sempre al fine di evitare di auto
incriminarsi.
In tali casi, infatti, non vi sarebbe stata la rappresentazione di dati e
informazioni falsi ma, semmai, solo una mancata cooperazione con l’autorità
di vigilanza.
Per cui non si potrebbe/dovrebbe ritenere configurato il reato di ostacolo
alle funzioni di vigilanza ma solo l’illecito amministrativo di cui all’art. 187-
quinquiedecies T.U.F., con possibilità di addurre il proprio diritto al silenzio
come riconosciuto dalla Corte costituzionale.
In questo senso però, per non incorrere nel reato di cui all’art. 2638 c.c. e
neanche nell’illecito amministrativo, sarebbe sufficiente per un soggetto
interrogato da un’autorità di vigilanza avvalersi della facoltà di non
rispondere alle richieste dell’autorità di vigilanza ovvero non trasmettere le
comunicazioni dovute “sulla situazione economica, patrimoniale o
finanziaria”, facendo leva sul principio del "nemo tenetur se detegere”.
Con ciò di fatto determinando un’estensione del c.d. diritto al silenzio anche
alla norma penale che invece è stato escluso dalla sentenza in commento.
Note
1 Sul punto si veda: T. Trinchera, G. Sassaroli, F. Modugno, Manipolazione del mercato
e giudizio di accertamento del pericolo concreto: il caso Fiat, nota a Corte d'appello di
Torino, 21 febbraio 2013 (dep. 28 febbraio 2013), Pres. est. Pallini, Imp. Gabetti, in
Diritto Penale Contemporaneo, 23 settembre 2013. Ma anche D. Falcinelli, Il giudice,
l'antifrasi e una "Fata morgana": se il tipo del pericolo concreto esprime un'offesa di
danno (di un bene astratto), in Diritto Penale Contemporaneo, 3 giugno 2011; nonché
S. Preziosi, Il pericolo come evento e l'abbandono dello schema di accertamento
prognostico nei reati di pericolo concreto, in Giur. comm., 2012, 379, e M. Scoletta,
Prognosi e diagnosi del pericolo nel delitto di manipolazione del mercato, in Corr. mer.,
2011, 844). Il Tribunale di Torino Tribunale, con sentenza del 21 dicembre 2010 e
depositata il 18 marzo 2011 aveva assolto tutti gli imputati dal reato di
manipolazione del mercato previsto dall'art. 185 TUF per insussistenza del fatto
precisando che trattasi di reato di pericolo concreto. Pronuncia ribaltata dalla Corte
di Appello di Torino e poi dalla Corte di Cassazione.
2 Con riferimento al carattere di precisione dell'informazione la cui omissione è stata
contestata agli imputati, va richiamata la giurisprudenza della Corte di Giustizia
(sentenza 28/06/2012, Markus Geltl c. Daimler A.G., C-19/11) che, in riferimento
all'art. 1, punto 1, della direttiva 2003/6/CE del Parlamento europeo e del Consiglio
del 28 gennaio 2003, relativa all'abuso di informazioni privilegiate e alla
manipolazione del mercato, ha precisato come per «informazione privilegiata»
debba intendersi «un'informazione che ha un carattere preciso, che non è stata resa
pubblica e che concerne, direttamente o indirettamente, uno o più emittenti di
strumenti finanziari o uno o più strumenti finanziari, che, se resa pubblica, potrebbe
influire in modo sensibile sui prezzi di tali strumenti finanziari ovvero sui prezzi di
strumenti finanziari derivati connessi». Il 3° considerando della direttiva 2003/124/CE
della Commissione, del 22 dicembre 2003, recante modalità di esecuzione della
direttiva 2003/6 per quanto riguarda la definizione e la comunicazione al pubblico
delle informazioni privilegiate e la definizione di manipolazione del mercato,
sottolinea l'esigenza di «accrescere la certezza del diritto per i partecipanti al
mercato, definendo in modo più preciso due degli elementi essenziali della
definizione di informazione privilegiata, ossia il carattere preciso dell'informazione e
l'importanza del suo impatto potenziale sui prezzi degli strumenti finanziari o degli
strumenti finanziari derivati connessi»; e, alla luce di siffatto enunciato, deve essere
letto l'art. 1, par. 1, della direttiva 2003/124, secondo il quale un'informazione ha
carattere preciso qualora siano soddisfatti due requisiti cumulativi: a) da un lato,
l'informazione deve riferirsi ad un complesso di circostanze esistente o di cui si possa
ragionevolmente ritenere che verrà ad esistere o ad un evento verificatosi o di cui si
possa ragionevolmente ritenere che si verificherà; b) dall'altro, essa deve essere
sufficientemente specifica da consentire di trarre conclusioni sul possibile effetto di
detto complesso di circostanze o di detto evento sui prezzi degli strumenti finanziari
o di strumenti finanziari derivati ad essi connessi; e poiché le nozioni di «complesso
di circostanze» e di «evento» non sono definite in tale direttiva, s'impone - secondo
la Corte di Giustizia - il ricorso al canone ermeneutico del significato comune delle
predette locuzioni.
3 Ai sensi dell’art. 181 TUF, oggi modificato con MIFID II, ai fini dell’integrazione del
reato de quo la notizia deve essere di “carattere preciso, che non è stata resa pubblica,concernente, direttamente o indirettamente, uno o più emittenti strumenti finanziari
o uno o più strumenti finanziari, che, se resa pubblica, potrebbe influire in modo
sensibile sui prezzi di tali strumenti finanziari”. La stessa norma stabilisce che “una
informazione deve ritenersi di carattere preciso” quando: a) “si riferisce ad un
complesso di circostanze esistente o che si possa ragionevolmente prevedere che
verrà ad esistenza o ad un evento verificatosi o che si possa ragionevolmente
prevedere che si verificherà”; b) “è sufficientemente specifica da consentire di trarre
conclusioni sul possibile effetto del complesso di circostanze o dell'evento di cui alla
lettera a) sui prezzi degli strumenti finanziari”. Infine, “per informazione che, se resa
pubblica, potrebbe influire in modo sensibile sui prezzi di strumenti finanziari” si
intende “un'informazione che presumibilmente un investitore ragionevole
utilizzerebbe come uno degli elementi su cui fondare le proprie decisioni di
investimento”
4 Secondo il consulente tecnico della difesa, Prof. Filippo Annunziata, professore di
diritto dei mercati finanziari all’Università degli Studi di Milano:
- la circostanza che il prezzo delle azioni dell’emittente subisca variazioni significative
in presenza di un comunicato stampa in cui si riporta la notizia di un aumento di
capitale prodromico al riequilibrio finanziario dell’emittente, è un’affermazione tautologica, poiché tutte le operazioni straordinarie “tra cui gli aumenti di capitale –
sono fisiologicamente price sensitive indipendentemente da tutte le altre informazioni
minori riportate”;
- la tesi accusatoria si limitava a rilevare le alterazioni del prezzo delle azioni della
società a seguito del comunicato pubblicato, in cui si informava dell’aumento di
capitale, senza tuttavia indicare come e quale sarebbe stata l’alterazione del prezzo
delle azioni laddove fosse stata diffusa anche la notizia della correlazione delle parti.
In altre parole, affermava il CT della difesa, occorre svolgere un “passaggio
successivo”. E cioè distinguere tra i diversi tipi di comunicati stampa, diversi tipi di
aumento di capitale e chiedersi in concreto, alla luce dell’esame storico dei prezzi, se
la correlazione fosse davvero un elemento che faceva variare questo tasso di incidenza.
Che il comunicato stampa incida sui prezzi lo sappiamo, ma la correlazione incide su
questo fattore oppure no?”
5A. Casaluce, Note in tema di ostacolo all’esercizio delle funzioni di vigilanza, in
Giurisprudenza Penale Web, 2021, 7-8.
6 Per violazione degli artt. 24, 117, primo comma, Cost., in relazione agli artt. 6
Convenzione europea dei diritti dell'uomo e 14, par. 3, lett. g), Patto internazionale
dei diritti civili e politici, nonché agli artt. 11 e 117, primo comma, Cost. in relazione
all'art. 47 della Carta fondamentale dei diritti dell'Unione Europea.
7Sul punto invero si era espressa anche la Corte di Giustizia dell’Unione Europea, a
seguito di rinvio pregiudiziale disposto dalla Corte costituzionale (cfr. CGUE, Grande
Sezione, sentenza 2 febbraio 2021, C-489/19, D.B. c. CONSOB).
Avvocata Rossana Lugli