31 MAGGIO 2022 BY Avvocata Rossana Lugli
Con la sentenza n. 16302 del 28.4.2022 la Corte di Cassazione si è pronunciata per la prima
volta sul tema della responsabilità dell'ente derivante dai reati tributari che, come noto, sono
stati inseriti tra i reati presupposto della “responsabilità 231” con il D. Lgs. n. 124 del 2019.
In particolare ha confermato la legittimità e correttezza del sequestro preventivo di 20
milioni di Euro disposto nei confronti di una Società di logistica (leader del mercato interno
e internazionale del settore).
Nel caso in esame, la Società ricorreva in Cassazione avverso il decreto di sequestro
preventivo applicato in via d’urgenza dal Pubblico Ministero, convalidato dal Giudice per le
Indagini Preliminari del Tribunale di Milano, e poi confermato dal Tribunale del Riesame di
Milano, in relazione al delitto di cui all'art. 2 D. Lgs. n. 74 del 2000, per aver presentato una
dichiarazione IVA fraudolenta a seguito dell’utilizzo di fatture relative a operazioni ritenute
soggettivamente inesistenti.
L’indagine era partita dall'Agenzia delle Entrate che aveva riscontrato l'evasione dell'IVA,
per omesso versamento dell'imposta dichiarata, da parte di numerose Cooperative e
Consorzi di lavoratori che si occupavano di fornire la forza lavoro alla Società di logistica.
Quest’ultima, si era accertato, non assumeva i lavoratori di cui necessitava ma, dopo essersi
aggiudicata le commesse da parte dei principali attori economici nazionali, utilizzava la
forza lavoro fornita proprio da Cooperative e Consorzi, attraverso la stipulazione di contratti
che avevano la forma giuridica dell’appalto
Emergeva poi che i Consorzi, a propria volta, non avevano assunto i lavoratori ed erano
privi dei mezzi necessari ad erogare direttamente la prestazione alla Società di logistica che
invece veniva resa solo dalle cooperative finali (tramite un contratto di subappalto).
I Consorzi pertanto si limitavano a "filtrare" il rapporto tra la Società di logistica (che invero
esercitava, attraverso direttive ai Consorzi, funzioni proprie del datore di lavoro) e le
Cooperative di lavoratori, evitando il coinvolgimento della prima sia in problematiche di
gestione della forza lavoro, sia nelle plurime criticità (di natura sindacale, fiscale,
previdenziale, amministrativa, sino a comprendere i rischi penali) correlate alle modalità
concrete di articolazione del rapporto con i lavoratori.
Secondo l’accusa, ciò garantiva alla Società di logistica tre vantaggi:
1) i fornitori della manodopera (Consorzi e Cooperative), omettendo il versamento delle
imposte e/o dei contributi previdenziali, potevano garantire alla Società di logistica
l'applicazione di tariffe della forza lavoro fuori mercato;
2) la possibilità per la Società di logistica di ricorrere alla forza lavoro con vantaggi in
tema di flessibilità di gestione e di costi, che l'assunzione diretta dei lavoratori non
avrebbe consentito;
3) utilizzare le fatture emesse dal Consorzio ai fini IVA anche se relative ad operazioni
inesistenti, consentendo alla Società di logistica di realizzare una evasione dell’IVA
Tale meccanismo permetteva alla Società di logistica di mascherare una somministrazione
di manodopera contra legem, instaurando invece, ma attraverso l'elusione delle norme
imperative in materia giuslavoristica, un rapporto in tutto assimilabile a quello di lavoro
dipendente.
Al contempo la Società beneficiava della detrazione dei costi e dell’IVA indicati nelle
fatture ricevute dalla consorziate, nonostante le prestazioni sottostanti fossero da qualificare
come oggettivamente inesistenti.
La pronuncia risulta interessante, oltre alla vicenda emersa, soprattutto perché, com’è stato
attentamente rilevato da un’illustre giurista , l’assenza nella decisione in commento di ogni 1
riferimento al giudizio sull'assetto organizzativo dell’azienda “conferma una previsione che
era già stata formulata al momento dell'entrata in vigore del D.Lgs. n. 124 del 2019,
ovvero che essendo gli illeciti fiscali indiscutibilmente frutto di una scelta della dirigenza
aziendale ed espressione di una politica d'impresa, rispetto alla prevenzione degli stessi
nullo o scarso rilievo avrà la predisposizione di un modello organizzativo, posto che il
delitto viene intenzionalmente realizzato da chi quel modello aveva predisposto
(evidentemente senza intenzione di prestarvi alcuna osservanza)”.
In altre parole, da questa prima sentenza, sembra ricavarsi che dalla commissione di
reati tributari discenda un’automatica responsabilità dell’Ente e ciò a prescindere da
un’effettiva cattiva organizzazione interna allo stesso.
Inoltre, la vicenda conferma come la sanzione prevista per l’Ente rispetto a tali reati sia
particolarmente incisiva, posto che accanto alla sanzione pecuniaria (già di per sé
potenzialmente significativa, fino a 500 quote) è prevista anche l'applicazione di sanzioni
interdittive (tra cui il divieto di contrattare con la pubblica amministrazione, l’esclusione da
agevolazioni, finanziamenti, contributi o sussidi e l'eventuale revoca di quelli già concessi e
il divieto di pubblicizzare beni o servizi)
A ciò si deve aggiungere che in caso di condanna dell’Ente viene altresì disposta la confisca
del profitto ricavato dall'omesso pagamento delle imposte, che coincide con l’ammontare
dell’intera imposta evasa. Ciò comporta che già in fase di indagine – “quando cioè la
responsabilità dell'ente è tutta da verificare e soprattutto è ancora incerta la
determinazione dell'imposta evasa – la società può vedersi sottratta una parte rilevante del
proprio patrimonio sulla base di presunzioni e indizi la cui fondatezza è ancora tutta da
verificare”, mediante un provvedimento cautelare, come il sequestro.
E’ chiaro che si tratta di provvedimenti che possono “mettere in ginocchio” la Società,
precludendo ogni possibilità di prosecuzione dell'attività per sopravvenuta mancanza della
liquidità
Per tale ragione i vertici degli Enti devono prestare la massima attenzione alla prevenzione
dei reati tributari di cui al D.Lgs. n. 74.
Avv. Rossana Lugli