PENALE
Feb06

Il reato di manipolazione del mercato nel caso in cui l’informazione sia solo parzialmente falsa. L’ostacolo alle funzioni di vigilanza di Consob e il diritto al silenzio dell’imputato.

6 FEBBRAIO 2023 BY Avvocata Rossana Lugli


PUBBLICATO SU GIURISPRUDENZA PENALE WEB, 2023



CASS. PEN., SEZ. V, SENT. 1° FEBBRAIO 2022 (UD. 7 SETTEMBRE 2021), N. 3555 PRESIDENTE SABEONE, RELATORE TUDINO

Sommario. Premessa. – 1. Il reato di manipolazione del mercato. – 1.1. L’accertamento del reato di cui all’art. 185 TUF. – 1.2. La natura di reato di pericolo ed il principio di offensività. – 1.3. L’accertamento del carattere price sensitive nel caso in cui la falsità della notizia sia solo parziale. – 1.4. La soluzione adottata dalla Corte di Cassazione nel caso oggetto della sentenza in commento. – 1.5. Conclusioni sul punto. – 2. Il reato di Ostacolo alle funzioni di vigilanza. – 2.1. La natura del reato di cui all’art. 2638 c.c. – 2.2. Il diritto al silenzio. – 2.3. Conclusioni.


Premessa. La pronuncia in commento offre alcuni spunti interessanti in materia di manipolazione del mercato e di ostacolo alle funzioni di vigilanza di Consob. La vicenda aveva ad oggetto alcuni capi d’imputazione contestati a due diversi imputati nelle qualità di concorrente materiale e morale, in relazione a due differenti vicende.
Anzitutto, i due, uno amministratore di diritto e l’altro amministratore di fatto, avrebbero comunicato al mercato che la finalità dell’aumento di capitale di una società quotata sul mercato regolamentato sarebbe stata il risanamento e il rilancio della società, quando, secondo la ricostruzione accusatoria accolta in sentenza, il vero obbiettivo era di utilizzare le somme così ottenute per l’acquisto delle quote di un fondo di investimento immobiliare, da due società riconducibili ad uno dei due imputati.
In particolare, secondo i Giudici di merito, l’aver omesso di indicare la reale finalità dell’aumento di capitale nel prospetto informativo comunicato al mercato avrebbe determinato la falsità del prospetto stesso, integrando il reato di cui all’art. 173 bis TUF (dichiarato poi prescritto in appello). La diffusione di tale parziale notizia al mercato avrebbe integrato, da un lato, il reato di manipolazione del mercato ex art. 185 TUF, e dall’altro lato, unitamente alle audizioni rese a CONSOB da parte dei due imputati, il delitto di ostacolo alle funzioni di vigilanza di cui all’art. 2638 c.c., avendo determinato un rallentamento ai controlli dell’autorità di vigilanza sull’intera operazione.
Nel medesimo procedimento, il reato di cui all’art. 185 TUF veniva contestato in altri due capi d’imputazione, ad uno solo degli imputati, anche riguardo ad una seconda vicenda relativa ad alcuni aumenti di capitale di una diversa società quotata rispetto ai quali sarebbe stato celato al mercato che l’operazione avrebbe riguardato parti correlate.
In particolare, l’imputato, azionista di maggioranza della società quotata nonché amministratore della stessa, non avrebbe comunicato al mercato che i due aumenti di capitale effettuati erano riservati a due società a lui riconducibili.
Tale informazione omessa, secondo i giudici, era una notizia falsa idonea ad alterare sensibilmente il prezzo delle azioni della società, la cui diffusione aveva quindi integrato il reato di manipolazione del mercato.
La sentenza in commento affronta diverse questioni in ordine ai reati contestati, soffermandosi in particolare: i) sulla natura del reato di manipolazione del mercato e sulle modalità di accertamento dello stesso; (ii) sulla eventualità che il reato di ostacolo alle funzioni di vigilanza possa essere scriminato dal diritto al silenzio (riconosciuto con una recente sentenza dalla Corte Costituzionale rispetto all’analogo illecito amministrativo) nonché (iii) sul tema del doppio binario e del principio del Ne Bis In Idem.
Nel presente commento ci si soffermerà solo sulle prime due questioni.

1. Il reato di manipolazione del mercato.

1.1. L’accertamento del reato di cui all’art. 185 TUF.
La Sezione V della Corte di Cassazione, nella sentenza in commento, ricostruisce anzitutto la natura del reato di manipolazione del mercato, individuando i criteri da seguire per accertarne la sussistenza.
Richiamando un precedente specifico ribadisce che il delitto di manipolazione del mercato, previsto dall'art. 185 T.U.F., è un «reato di pericolo concreto e di mera condotta», la cui configurazione «deve essere accertata sulla base del criterio della prognosi postuma».
Ossia, un giudizio in concreto ed ex ante che valorizzi tutti i dati fattuali esistenti al momento della condotta in funzione della verifica della connotazione decettiva del fatto comunicativo e della sua idoneità a produrre effetti distorsivi sul patrimonio conoscitivo dell'investitore (cfr. Cass. Pen., Sez. 5, n. 28932 del 04.05.2011, Tanzi).
E ancora che «la natura di pericolo concreto del reato esige, ai fini del suo perfezionamento, la manifestazione fenomenica dell'idoneità dell'azione a mettere in pericolo l'interesse protetto dalla norma, costituito dal corretto ed efficiente andamento del mercato al fine di garantire che il prezzo del titolo nelle relative transazioni rifletta il suo valore reale e non venga influenzato da atti o fatti artificiosi o fraudolenti» (Cfr. Cass. Pen., Sez. 1, n. 45347 del 06.05.2015, Bonsignore, Rv. 265397).
Perciò occorre verificare se «gli effetti decettivi [ingannatori] dei fatti comunicativi, prevedibili in concreto ed ex ante quali conseguenze della condotta dell’agente, siano stati potenzialmente idonei a provocare una sensibile alterazione del prezzo di mercato del titolo rispetto a quello determinato in un corretto processo di formazione dello stesso» (cfr. Cass. Pen., Sez. 5, n. 53437 del 19.10.2018, Rv. 275134).
Il fatto comunicato assume dunque i connotati di tipicità ex art. 185 TUF quando «può concretamente influire sulla formazione della volontà negoziale dell'investitore e meglio persuaderlo alla convenienza nell’impiego del denaro con l'investimento nel titolo (ovvero ad indurlo alla dismissione di quell’investimento» (Cfr. Cass. Pen., Sez. 5, n. 28932/2011, cit.).
Nella sentenza in commento viene inoltre precisato che la natura di reato di pericolo concreto e di mera condotta comporta che la manipolazione di cui all’art. 185 TUF «si consuma [semplicemente] nel momento stesso in cui la notizia, foriera di scompenso valutativo del titolo, viene comunicata o diffusa e, cioè, esce dalla sfera del soggetto attivo» (cfr. Cass. Pen., Sez. 5, n. 28932 del 2011, cit.; conf. Sez. 5, n. 40393 del 20.06.2012, Gabetti; Sez. 5, n. 25450 del 03.04.2014, Ligresti, Rv. 260751).
Inoltre, viene ribadito, a più riprese, che è irrilevante il verificarsi dell’evento (cfr. Cass. Pen., Sez. 5, n. 28932 del 2011, cit.; conf. ex plurimis, cfr. Cass. Pen., Sez. 5, n. 54300 del 14.09.2017, Banchero, Rv. 272083 e Cass. Pen., Sez. 5, n. 45829 del 16.07.2018, Franconi).
Il reato è integrato infatti «anche senza che la variazione del prezzo si sia concretamente realizzata, in quanto la norma penale tutela anticipatamente l’interesse dell'ordinamento alla corretta formazione del prezzo dello strumento finanziario», condizione che rende necessaria un'adeguata indagine «sulla idoneità ex ante della condotta manipolativa a produrre una variazione penalmente rilevante (indipendentemente da quella riscontrata ex post)» (cfr. Cass. Pen., Sez. 5, n. 4619 del 27.09.2013, 2014, Compton).
In buona sostanza la Corte, nella sentenza in commento, riprendendo diversi precedenti, ribadisce che, trattandosi di un reato di pericolo, per la configurazione del reato non è necessaria la verificazione dell’evento e che l’accertamento deve essere svolto, perciò, mediante un’indagine che valuti le condizioni esistenti al momento della diffusione della notizia.
Se queste conclusioni appaiono corrette sul piano giuridico, lasciano profondi dubbi in ordine alla ragionevolezza e opportunità della soluzione adottata, tenuto anche conto che la norma incriminatrice in commento è assai afflittiva (con pena fino a 12 anni di reclusione).


1.2. La natura di reato di pericolo ed il principio di offensività.

Occorre aggiungere che le conclusioni sopra riportate sembrano trascurare che la concreta punibilità di un fatto discende sempre e comunque dalla sua concreta offensività - anche in termini di messa in pericolo - del bene giuridico tutelato dalla norma.
Tale principio viene alla mente in quanto in altro punto della sentenza in commento, rispondendo alle doglianze difensive sul reato di cui all’art. 2638 c.c., la stessa Corte precisa che il «principio costituzionale di offensività opera non solo sul piano della «previsione normativa», ma anche su quello della «dell'applicazione giurisprudenziale (offensività in concreto), quale criterio interpretativo-applicativo affidato al giudice, tenuto ad accertare che il fatto di reato abbia effettivamente leso o messo in pericolo il bene o l'interesse tutelato» (Sez. U, n. 28605 del 24.04.2008, Di Salvia, Rv. 239921; conf., in tema di false dichiarazioni sull'identità o su qualità personali proprie o altrui, Sez. 5, n. 16725 del 30.03.2016, De Donato, Rv. 266707).
E ancora, secondo le Sezioni Unite della Suprema Corte, «l'interprete delle norme penali ha l'obbligo di adattarle alla Costituzione in via ermeneutica, rendendole applicabili solo ai fatti concretamente offensivi, offensivi in misura apprezzabile»: pertanto, «i singoli tipi di reato dovranno essere ricostruiti in conformità al principio di offensività, sicché tra i molteplici significati eventualmente compatibili con la lettera della legge si dovrà operare una scelta con l'aiuto del criterio del bene giuridico, considerando fuori del tipo di fatto incriminato i comportamenti non offensivi dell'interesse protetto» (Cfr. Cass. Pen., SS.UU., n. 40354 del 18.07.2013, Sciuscio; conf. Cass. Pen., Sez. 5, n. 1917 del 18.10.2017, Bux).
A fronte di tali considerazioni dovrebbe quindi concludersi secondo logica e ragionevolezza che nel caso in cui un’informazione comunicata o omessa al mercato non abbia prodotto ex post una sensibile alterazione del prezzo del mercato, il reato de quo deve essere escluso, essendoci la prova effettiva e incontrovertibile che l’informazione non era idonea in concreto a produrre un’alterazione (e quindi il fatto non era offensivo)1
Diversamente l’alterazione dei prezzi si sarebbe dovuta verificare, salva ovviamente l’ipotesi in cui l’alterazione fosse stata impedita da altre cause (ad esempio dalla rettifica tempestiva del comunicato errato).
Sennonché, come anticipato, alcune pronunce della Cassazione - richiamate nella sentenza in commento - escludono la rilevanza di qualsiasi accertamento negativo ex post, come se l’idoneità della comunicazione decettiva dovesse essere valutata solo ex ante in modo del tutto astratto, a prescindere dagli effetti in concreto realizzatisi.
Come a dire: è sufficiente per la configurazione del reato che la notizia (falsa anche solo parzialmente) diffusa presenti le caratteristiche previste dalla normativa2
- ovvero sia precisa e non ancora comunicata al mercato3 nonchè idonea ex ante (e quindi solo potenzialmente) ad incidere sulle scelte degli investitori, che diventa inutile e superflua ogni ulteriore indagine, perfino quella in ordine agli effetti, o a nessun effetto, che in concreto la notizia ha avuto sul prezzo dello strumento finanziario.

1.3. L’accertamento del carattere price sensitive nel caso in cui la falsità della notizia sia solo parziale.
La verifica della sussistenza o meno del reato di manipolazione del mercato presenta non pochi problemi soprattutto nell’ipotesi in cui solo una parte della notizia diffusa sia falsa ovvero sia stata omessa. Nel valutare la sussistenza del reato di manipolazione del mercato spesso si prescinde infatti dalla considerazione che qualsiasi informazione comunicata al mercato ha (o comunque può avere) quale conseguenza (non solo potenziale) quella di alterare sensibilmente il valore e il prezzo degli strumenti finanziari cui si riferisce.
Tale effetto è infatti - tendenzialmente - una conseguenza immediata della diffusione di qualsiasi notizia avente carattere preciso, che non è ancora conosciuta dal mercato. Soprattutto se si tratta di notizia relativa all’aumento di capitale di una società in crisi o in fase di risanamento.
L’accertamento della idoneità della notizia ad alterare sensibilmente il prezzo dello strumento finanziario (c.d. price sensitive), ai fini della configurabilità dell’art. 185 TUF, è agevole soltanto nel caso in cui l’intera notizia sia falsa e sia l’unica comunicata al mercato (ad esempio si comunica un cambio di gestione che in realtà non si verificherà, ovvero l’ingresso di un nuovo socio accreditato nel mercato, che invero non esiste o ancora si comunica di disporre di ingenti risorse finanziarie depositate presso banche estere in realtà inesistenti).
In tali ipotesi è sufficiente, per verificare la sussistenza del reato, effettuare un confronto tra il prezzo dello strumento finanziario prima della diffusione della notizia e quello registrato successivamente alla diffusione. In tali casi in cui l’alterazione del prezzo provocata dalla diffusione della notizia rappresenta l’intero disvalore penale del fatto (senza considerare le pronunce che affermano l’irrilevanza dell’alterazione in concreto). Tale accertamento è invece molto complesso nell’ipotesi in cui la notizia diffusa sia tendenzialmente vera ma in essa venga omesso (o distorto) qualche elemento ulteriore.
Ad esempio, come nelle due vicende oggetto della sentenza in commento, la notizia dell’aumento di capitale era l’informazione sostanziale vera e corretta - da cui sarebbe state omesse, secondo la ricostruzione accusatoria accolta dai Giudici, alcune precisazioni: in un caso la finalità dell’aumento di capitale e, nell’altro, la presenza di parti correlate. In queste ipotesi, ai fini della verifica della sussistenza del reato, occorrerebbe - ad avviso di chi scrive - accertare quanto, sul prezzo del titolo, abbia inciso (o avrebbe potuto incidere) non la notizia in sé, ma la falsità di una parte dell’informazione fornita.
Anche in questi casi può essere facilmente ed immediatamente effettuato in concreto (ovvero valutato potenzialmente ex ante) il calcolo dell’alterazione del prezzo a seguito della diffusione della notizia vera e principale al mercato (per cui è sufficiente ancora una volta il confronto tra il prezzo iniziale e quello successivo alla diffusione).
Appare invece estremamente difficile, se non impossibile, calcolare (in concreto o potenzialmente ex ante), quale sarebbe stata l’incidenza di una comunicazione con un contenuto parzialmente diverso, ad esempio perché contenente le precisazioni omesse nell’originaria comunicazione.
In altre parole, in tali situazioni quello che può essere calcolato pare essere, invero, solo l’alterazione del prezzo determinata dalla comunicazione della notizia nella sua interezza, mentre diventa molto difficile, anche in termini di prognosi postuma, scindere da questa la parte falsa/omessa e verificare come una comunicazione interamente corretta avrebbe influito sull’andamento del prezzo.
E così spesso accade che il giudice penale svolga, anche in queste ipotesi, solo una valutazione complessiva ed unitaria della notizia, comprensiva sia della parte corretta (che già di per sé determinerebbe l’alterazione ma sarebbe penalmente irrilevante) sia di quella falsa oppure omessa, senza invece rilevare soltanto l’idoneità di questa seconda parte.
La tesi difensiva, basata sulle conclusioni dell’autorevole consulente tecnico4, muoveva sostanzialmente da queste considerazioni.

1.4. La soluzione adottata dalla Corte di Cassazione nel caso oggetto della sentenza in commento.
Nel caso di specie la Corte ha rigettato la tesi difensiva affermando che la valutazione dei giudici di merito in ordine all’integrazione del reato di manipolazione del mercato aveva riguardato proprio la parte falsa/omessa della notizia diffusa.
A suo avviso, infatti, la verifica era stata condotta non solo «attraverso l'analisi postuma dell'andamento dei titoli negoziati» ma anche «all'esito di una corretta valutazione prognostica del diverso andamento che il medesimo titolo avrebbe avuto ove fosse stata resa nota, ab origine, la reale finalità dell'offerta dei titoli mobiliari».
In particolare, quest’ultimo accertamento si era basato sugli effetti registrati sia dopo il primo comunicato al mercato in cui si dava atto dell’aumento di capitale finalizzato al risanamento; sia dopo il secondo comunicato in cui si informava il mercato l’acquisto delle quote del fondo (quindi la reale finalità dell’operazione).
La Corte rilevava quindi che «in corrispondenza con la sottoscrizione dell'aumento di capitale, vi fu un repentino incremento delle quotazioni di Borsa», tanto che «il titolo toccò il massimo dell’anno, mentre il trend era stato, sino ad allora, negativo ed in perdita».
Effetto che, secondo la Corte, sarebbe stato invece neutralizzato quando, il mese successivo, la comunicazione dell'investimento nelle quote del Fondo «avrebbe determinato una significativa flessione del titolo».
Tali conseguenze, come si legge nella sentenza in commento, dimostrerebbero la natura price sensitive dell’omessa/distorta informazione comunicata al mercato.

1.5. Conclusioni sul punto.
Ad avviso di chi scrive le conclusioni rassegnate non sono pienamente condivisibili.
La verifica delineata - che invero pare solo ex post - si sarebbe sviluppata in due fasi: una prima in cui si registrava un aumento del prezzo naturale e del tutto connaturato alla diffusione della notizia dell’aumento di capitale di una società in crisi; ed una seconda in cui, a distanza di un mese, si verificava una normale stabilizzazione del titolo.
Tale analisi, svolta in due tempi differenti, non appare idonea - quanto meno con ragionevole certezza - a rassegnare la conclusione che l’informazione omessa era price sensitive e ancora che, se la stessa fosse stata comunicata già al momento della diffusione della notizia dell’aumento di capitale, avrebbe avuto effetti differenti sul titolo.
Anzi, a ben vedere, se il secondo comunicato (contenente l’informazione vera omessa) aveva determinato una flessione del titolo, il cui prezzo era invece in precedenza aumentato fino al suo massimo, si poteva logicamente concludere che laddove la notizia fosse stata comunicata al mercato già completamente corretta (quindi con il contenuto di entrambi i comunicati), non vi sarebbe stata alcuna sensibile alterazione del prezzo.
In ogni caso, ad avviso di chi scrive, si ritiene che spesso non sia possibile accertare con prognosi postuma (ma neppure ex post) quale sarebbe stato l’effetto sul mercato di una sola ed unica comunicazione completa di tutte le informazioni, anche di quelle omesse/distorte.
Così l’accertamento del reato si basa esclusivamente sulla valutazione soggettiva, e del tutto astratta, del giudice penale sulla capacità di un’informazione omessa (all’interno di una notizia corretta) di provocare una sensibile alterazione del prezzo di mercato.
Sennonché data la natura gravemente afflittiva del reato in esame, che prevede addirittura il raddoppio delle pene nel caso di strumenti negoziati sul mercato regolamentato (per un massimo di 12 anni di reclusione), sarebbe opportuno legare maggiormente la configurazione del reato all’evento (e quindi alla certezza che un’alterazione vi sia stata) o quantomeno di un danno agli investitori.
Diversamente e paradossalmente si arriva a punire con pene molto gravi - e così di fatto accade - presunte o potenziali distorsioni del mercato che non hanno tuttavia cagionato alcuna alterazione effettiva e senza che vi sia stato alcun investitore danneggiato.
Si pensi che nel caso oggetto della sentenza in commento gli aumenti di capitale che hanno riguardato la seconda vicenda erano riservati a società di fatto correlate ad uno dei due imputati. Pertanto, le eventuali variazioni di prezzo dei relativi strumenti finanziari hanno inciso solo su tale unico soggetto e non su altri investitori.
Per tali ragioni sorgono forti dubbi pongono dei seri problemi in ordine al rispetto del principio di offensività posto che il bene giuridico tutelato dalla norma è la corretta allocazione dei prezzi degli strumenti finanziari.
Per cui, se il prezzo del titolo non è stato neppure messo in pericolo (o non è possibile un accertamento su questo), appunto perché non è possibile stabilire in concreto quale effetto avrebbe avuto la comunicazione di una notizia interamente corretta, il reato non dovrebbe ritenersi configurato. Sarebbe quindi auspicabile che il Legislatore intervenisse in un prossimo futuro su questo reato, limitandone l’applicazione ovvero, quantomeno, prevedendo sanzioni meno afflittive.

2. Il reato di Ostacolo alle funzioni di vigilanza.
La Corte di Cassazione con la sentenza in commento prende posizione anche in ordine alla fattispecie di cui all’art. 2638 c.c. (ostacolo alle funzioni di vigilanza).
Il reato di cui all'art. 2638 cod. civ. è stato contestato nel procedimento oggetto della sentenza in commento in relazione all'omissione di informazioni dovute a CONSOB, con riferimento alla reale finalità dell’aumento di capitale della società.

2.1. La natura del reato di cui all’art. 2638 c.c.
La Corte si sofferma anzitutto sulla natura del reato in esame, affermando che la norma delinea «un reato di evento e, in particolare, una fattispecie causalmente orientata al risultato lesivo, rappresentato dall'evento di ostacolo all'esercizio delle funzioni di vigilanza».
Inoltre, ricorda come il più recente e consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità richieda, per la configurabilità del reato in esame, «la verificazione di un effettivo e rilevante ostacolo alla funzione di vigilanza, quale conseguenza di una condotta che può assumere qualsiasi forma, tra cui anche la mera omessa comunicazione di informazioni dovute» (Sez. 5, n. 42778 del 26.05.2017, Consoli, Rv. 271442; conf. Sez. 5, n. 6884 del 12.11.2015 - dep. 2016, Giacomoni Rv. 267169).
L'evento di ostacolo all'esercizio delle funzioni di vigilanza si realizza infatti, non solo «con l'impedimento in toto di detto esercizio» ma anche «con il frapporre al suo dispiegarsi difficoltà di considerevole spessore o con il determinarne un significativo rallentamento; difficoltà o rallentamento che devono dar corpo ad un effettivo e rilevante ostacolo alla funzione di vigilanza»5

2.2. Il diritto al silenzio.
Definita la natura del reato, la Corte si pronuncia sulla possibilità di estendere anche all’art. 2638 c.c. le conclusioni raggiunte dalla Corte costituzionale rispetto all’illecito amministrativo di cui all'art. 187-quinquiedecies T.U.F. Come noto quest’ultima norma commina la sanzione pecuniaria per chi, “fuori dei casi previsti dall'art. 2638 cod. civ., non ottempera nei termini alle richieste della Banca d'Italia e della Consob, ovvero non cooperi con le medesime autorità al fine dell'espletamento delle relative funzioni di vigilanza ovvero ritardi l'esercizio delle stesse”.
Mentre, l’art. 2638 c.c. è norma penale che punisce alcuni soggetti qualificati all’interno di società sottoposte ad autorità di vigilanza “i quali nelle comunicazioni alle predette autorità previste in base alla legge, al fine di ostacolare l'esercizio delle funzioni di vigilanza, espongono fatti materiali non rispondenti al vero...ovvero, allo stesso fine, occultano con altri mezzi fraudolenti, in tutto o in parte fatti che avrebbero dovuto comunicare” sulla situazione economica, patrimoniale o finanziaria (art. 2638 c.c.). Ebbene, con sentenza n. 84 del 13 aprile 2021, la Corte costituzionale ha dichiarato costituzionalmente illegittimo6, l'art. 187-quinquiesdecies del d.lgs. n. 58 del 1998, nel testo originariamente introdotto dall'art. 9, comma 2, lett. b), della legge n. 62 del 2005, «nella parte in cui si applica anche alla persona fisica che si sia rifiutata di fornire alla CONSOB risposte che possano far emergere la sua responsabilità per un illecito passibile di sanzioni amministrative di carattere punitivo, ovvero per un reato».
La Consulta aveva rilevato, nel quadro di alcuni precedenti (sent. n. 68 del 2021, n. 96 del 2020, n. 187 del 2019 e n. 388 del 1999; ord. n. 117 del 2019) «come il tenore letterale della disposizione censurata risulti incompatibile con il diritto al silenzio della persona fisica la quale, richiesta di fornire informazioni alla CONSOB nel quadro dell’attività di vigilanza svolta da quest'ultima e funzionale alla scoperta di illeciti e alla individuazione dei responsabili, ovvero - a fortiori - nell'ambito di un procedimento sanzionatorio formalmente aperto nei suoi confronti, si sia rifiutata di rispondere a domande, formulate in sede di audizione o per iscritto, dalle quali sarebbe potuta emergere una sua responsabilità per un illecito amministrativo sanzionato con misure di carattere punitivo, o addirittura una sua responsabilità di carattere penale, rivolgendo un monito esplicito al legislatore per una più precisa declinazione delle ulteriori modalità di tutela di tale diritto - non necessariamente coincidenti con quelle che vigono nell'ambito del procedimento e del processo penale - rispetto alle attività istituzionali della CONSOB e - a seguito delle pronunce di illegittimità costituzionale consequenziale della medesima disposizione, nella formulazione successiva a due successive novelle - della Banca d'Italia, in modo da meglio calibrare tale tutela rispetto alle specificità dei procedimenti che di volta in volta vengono in considerazione, nel rispetto dei principi discendenti dalla Costituzione, dalla CEDU e dal diritto dell'Unione europea»7.
Di contro, nella sentenza in commento, la Corte di Cassazione esclude tuttavia che tali conclusioni possano essere applicate anche con riferimento al reato di cui all’art. 2638 c.c. dato «il diverso ambito in cui muovono le disposizioni richiamate... con specifico riferimento alla fattispecie concreta ed in considerazione del contenuto decettivo delle false prospettazioni rivolte all’autorità di vigilanza».
Secondo la Corte, infatti, vi è una netta differenza tra le due norme: il rifiuto di rispondere a domande formulate in sede di audizione, o per iscritto, dalle Autorità di vigilanza (187-quinquiedecies T.U.F.) è cosa differente rispetto all’obbligo di dichiarare il vero la cui violazione comporta il reato di ostacolo alle funzioni di vigilanza (art. 2638 c.c.).
Nello specifico, si legge nella sentenza in commento, la peculiarità della fattispecie esaminata dalla Consulta - rifiuto di rispondere a domande formulate in sede di audizione o per iscritto dalle Autorità di vigilanza - non proietta dubbi sulla legittimità costituzionale dell'art. 2638 cod. civ., che delinea condotte alternative di omessa comunicazione di informazioni dovute o di ricorso a mezzi fraudolenti, anche quando dalla condotta conforme potrebbero derivare elementi di prova di altro illecito.
Ciò in quanto «il profilo di falsità, rispetto a un obbligo di dichiarare il vero, previsto dalla legge, che connota la condotta in esame costituisce un quid pluris rispetto al dovere di collaborazione con l’autorità su cui è invece conformato l’illecito amministrativo censurato dalla Consulta».
Trattandosi di un falso, precisa la Corte di Cassazione, il principio del “nemo tenetur se detegere” (secondo il quale nessuno può essere obbligato ad auto incriminarsi) non può prevalere sul bene giuridico tutelato dalla norma penale «non potendo la finalità probatoria dell’atto essere sacrificata dall’interesse del singolo di sottrarsi alle conseguenze di un delitto» (cfr. Cass. Pen., Sez. 5, n. 23672 del 19.04.2021, Pinchera, Rv. 281406) La medesima conclusione invero era stata raggiunta dalla Corte costituzionale anche con riferimento all’art. 5 D.Lgs. 74/2000 (reato di omessa presentazione della dichiarazione di redditi ai fini IVA e IRES), rispetto al quale aveva dichiarato manifestamente infondata una analoga questione di illegittimità costituzionale sollevata, affermando che «il principio del "nemo tenetur se detegere" opera esclusivamente nell'ambito di un procedimento penale già avviato e deve ritenersi recessivo rispetto all'obbligo di concorrere alle spese pubbliche previsto dall'art. 53 Cost. (Sez. 3, n. 53656 del 03.10.2018, A., Rv. 275452)».
La Corte di Cassazione conclude quindi che il diritto al silenzio riconosciuto dalla Corte Costituzionale nei confronti di Banca d’Italia e Consob non si espande fino a comprendere il reato di ostacolo all’esercizio delle funzioni delle autorità di vigilanza posto che nell'affermare l'intangibilità del diritto al silenzio nell'ambito del generico dovere di collaborazione dell'autorità di vigilanza, non induce a dubitare della conformità costituzionale della pregnante connotazione lesiva che caratterizza i fatti penalmente rilevanti in forza del secondo comma dell'art. 2638 cod. civ

2.3. Conclusioni. Si tratta di una conclusione condivisibile, ma che incontra alcune problematiche di applicazione in alcuni casi concreti.
Certamente le situazioni sono differenti: la sanzione amministrativa riguarda il caso in cui è richiesta una mera collaborazione con l’Autorità di vigilanza, in cui deve essere riconosciuto il diritto al silenzio e quindi al diritto a non auto incriminarsi, mentre la norma penale punisce un soggetto che pone in essere comportamenti attivi, fornendo notizie false, al fine di ostacolare le funzioni di vigilanza.
Per cui l’eventuale estensione del principio statuito dalla Consulta a tutti i rapporti con le autorità di vigilanza di fatto svuoterebbe di contenuto l’art. 2638 c.c. prevedendo la possibilità per gli emittenti e tutte le società sottoposte a qualche vigilanza di non solo di non fornire le informazioni richieste, ma anche di dare informazioni false, adducendo il proprio diritto al silenzio, e così garantendosi l’impunità per il reato di ostacolo alle funzioni di vigilanza.
Tuttavia, sorgono alcuni dubbi in ordine ai confini sussistenti tra le due norme e quindi in ordine al riconoscimento del diritto al silenzio in casi concreti. Si pensi ad esempio al caso in cui un soggetto che nell’ambito dello svolgimento di operazioni societarie venga richiesto da Consob o Banca d’Italia o ad altra autorità di vigilanza cui è sottoposto di fornire informazioni, ma decida di restare in silenzio per evitare di auto incriminarsi. O ancora il caso in cui tali soggetti decidano di non dare alle autorità di vigilanza cui sono sottoposti le comunicazioni previste dalla legge “sulla situazione economica, patrimoniale o finanziaria”, sempre al fine di evitare di auto incriminarsi.
In tali casi, infatti, non vi sarebbe stata la rappresentazione di dati e informazioni falsi ma, semmai, solo una mancata cooperazione con l’autorità di vigilanza.
Per cui non si potrebbe/dovrebbe ritenere configurato il reato di ostacolo alle funzioni di vigilanza ma solo l’illecito amministrativo di cui all’art. 187- quinquiedecies T.U.F., con possibilità di addurre il proprio diritto al silenzio come riconosciuto dalla Corte costituzionale.
In questo senso però, per non incorrere nel reato di cui all’art. 2638 c.c. e neanche nell’illecito amministrativo, sarebbe sufficiente per un soggetto interrogato da un’autorità di vigilanza avvalersi della facoltà di non rispondere alle richieste dell’autorità di vigilanza ovvero non trasmettere le comunicazioni dovute “sulla situazione economica, patrimoniale o finanziaria”, facendo leva sul principio del "nemo tenetur se detegere”.
Con ciò di fatto determinando un’estensione del c.d. diritto al silenzio anche alla norma penale che invece è stato escluso dalla sentenza in commento.


Note 1 Sul punto si veda: T. Trinchera, G. Sassaroli, F. Modugno, Manipolazione del mercato e giudizio di accertamento del pericolo concreto: il caso Fiat, nota a Corte d'appello di Torino, 21 febbraio 2013 (dep. 28 febbraio 2013), Pres. est. Pallini, Imp. Gabetti, in Diritto Penale Contemporaneo, 23 settembre 2013. Ma anche D. Falcinelli, Il giudice, l'antifrasi e una "Fata morgana": se il tipo del pericolo concreto esprime un'offesa di danno (di un bene astratto), in Diritto Penale Contemporaneo, 3 giugno 2011; nonché S. Preziosi, Il pericolo come evento e l'abbandono dello schema di accertamento prognostico nei reati di pericolo concreto, in Giur. comm., 2012, 379, e M. Scoletta, Prognosi e diagnosi del pericolo nel delitto di manipolazione del mercato, in Corr. mer., 2011, 844). Il Tribunale di Torino Tribunale, con sentenza del 21 dicembre 2010 e depositata il 18 marzo 2011 aveva assolto tutti gli imputati dal reato di manipolazione del mercato previsto dall'art. 185 TUF per insussistenza del fatto precisando che trattasi di reato di pericolo concreto. Pronuncia ribaltata dalla Corte di Appello di Torino e poi dalla Corte di Cassazione.
2 Con riferimento al carattere di precisione dell'informazione la cui omissione è stata contestata agli imputati, va richiamata la giurisprudenza della Corte di Giustizia (sentenza 28/06/2012, Markus Geltl c. Daimler A.G., C-19/11) che, in riferimento all'art. 1, punto 1, della direttiva 2003/6/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 28 gennaio 2003, relativa all'abuso di informazioni privilegiate e alla manipolazione del mercato, ha precisato come per «informazione privilegiata» debba intendersi «un'informazione che ha un carattere preciso, che non è stata resa pubblica e che concerne, direttamente o indirettamente, uno o più emittenti di strumenti finanziari o uno o più strumenti finanziari, che, se resa pubblica, potrebbe influire in modo sensibile sui prezzi di tali strumenti finanziari ovvero sui prezzi di strumenti finanziari derivati connessi». Il 3° considerando della direttiva 2003/124/CE della Commissione, del 22 dicembre 2003, recante modalità di esecuzione della direttiva 2003/6 per quanto riguarda la definizione e la comunicazione al pubblico delle informazioni privilegiate e la definizione di manipolazione del mercato, sottolinea l'esigenza di «accrescere la certezza del diritto per i partecipanti al mercato, definendo in modo più preciso due degli elementi essenziali della definizione di informazione privilegiata, ossia il carattere preciso dell'informazione e l'importanza del suo impatto potenziale sui prezzi degli strumenti finanziari o degli strumenti finanziari derivati connessi»; e, alla luce di siffatto enunciato, deve essere letto l'art. 1, par. 1, della direttiva 2003/124, secondo il quale un'informazione ha carattere preciso qualora siano soddisfatti due requisiti cumulativi: a) da un lato, l'informazione deve riferirsi ad un complesso di circostanze esistente o di cui si possa ragionevolmente ritenere che verrà ad esistere o ad un evento verificatosi o di cui si possa ragionevolmente ritenere che si verificherà; b) dall'altro, essa deve essere sufficientemente specifica da consentire di trarre conclusioni sul possibile effetto di detto complesso di circostanze o di detto evento sui prezzi degli strumenti finanziari o di strumenti finanziari derivati ad essi connessi; e poiché le nozioni di «complesso di circostanze» e di «evento» non sono definite in tale direttiva, s'impone - secondo la Corte di Giustizia - il ricorso al canone ermeneutico del significato comune delle predette locuzioni.
3 Ai sensi dell’art. 181 TUF, oggi modificato con MIFID II, ai fini dell’integrazione del reato de quo la notizia deve essere di “carattere preciso, che non è stata resa pubblica,concernente, direttamente o indirettamente, uno o più emittenti strumenti finanziari o uno o più strumenti finanziari, che, se resa pubblica, potrebbe influire in modo sensibile sui prezzi di tali strumenti finanziari”. La stessa norma stabilisce che “una informazione deve ritenersi di carattere preciso” quando: a) “si riferisce ad un complesso di circostanze esistente o che si possa ragionevolmente prevedere che verrà ad esistenza o ad un evento verificatosi o che si possa ragionevolmente prevedere che si verificherà”; b) “è sufficientemente specifica da consentire di trarre conclusioni sul possibile effetto del complesso di circostanze o dell'evento di cui alla lettera a) sui prezzi degli strumenti finanziari”. Infine, “per informazione che, se resa pubblica, potrebbe influire in modo sensibile sui prezzi di strumenti finanziari” si intende “un'informazione che presumibilmente un investitore ragionevole utilizzerebbe come uno degli elementi su cui fondare le proprie decisioni di investimento”
4 Secondo il consulente tecnico della difesa, Prof. Filippo Annunziata, professore di diritto dei mercati finanziari all’Università degli Studi di Milano: - la circostanza che il prezzo delle azioni dell’emittente subisca variazioni significative in presenza di un comunicato stampa in cui si riporta la notizia di un aumento di capitale prodromico al riequilibrio finanziario dell’emittente, è un’affermazione tautologica, poiché tutte le operazioni straordinarie “tra cui gli aumenti di capitale – sono fisiologicamente price sensitive indipendentemente da tutte le altre informazioni minori riportate”;
- la tesi accusatoria si limitava a rilevare le alterazioni del prezzo delle azioni della società a seguito del comunicato pubblicato, in cui si informava dell’aumento di capitale, senza tuttavia indicare come e quale sarebbe stata l’alterazione del prezzo delle azioni laddove fosse stata diffusa anche la notizia della correlazione delle parti.
In altre parole, affermava il CT della difesa, occorre svolgere un “passaggio successivo”. E cioè distinguere tra i diversi tipi di comunicati stampa, diversi tipi di aumento di capitale e chiedersi in concreto, alla luce dell’esame storico dei prezzi, se la correlazione fosse davvero un elemento che faceva variare questo tasso di incidenza. Che il comunicato stampa incida sui prezzi lo sappiamo, ma la correlazione incide su questo fattore oppure no?”
5A. Casaluce, Note in tema di ostacolo all’esercizio delle funzioni di vigilanza, in Giurisprudenza Penale Web, 2021, 7-8.
6 Per violazione degli artt. 24, 117, primo comma, Cost., in relazione agli artt. 6 Convenzione europea dei diritti dell'uomo e 14, par. 3, lett. g), Patto internazionale dei diritti civili e politici, nonché agli artt. 11 e 117, primo comma, Cost. in relazione all'art. 47 della Carta fondamentale dei diritti dell'Unione Europea.
7Sul punto invero si era espressa anche la Corte di Giustizia dell’Unione Europea, a seguito di rinvio pregiudiziale disposto dalla Corte costituzionale (cfr. CGUE, Grande Sezione, sentenza 2 febbraio 2021, C-489/19, D.B. c. CONSOB).



Avvocata Rossana Lugli



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